Dormire in un capsule hotel a Tokyo. Lost in translation, capitolo secondo

«Da’, qui dell’hotel non c’è traccia», mi segnala Fabrizio, il mio più caro amico e compagno nell’avventura nipponica.
L’approdo al Capsule and Sauna Oriental — questo il nome della struttura — non sta andando per il meglio. Quando sono in viaggio, non mi dispiaccio poi molto se le cose non procedono esattamente come le avevo pianificate, d’altra parte.
Tokyo è una città enorme e la scelta di percorrerla a piedi, sotto il sole di agosto, con il backpack da sessanta litri sulle spalle ed il classico zaino per gli spostamenti giornalieri sul petto, si è rivelata intrigante solo a posteriori.
L’umidità, che in agosto può addirittura superare il 90%, non rende la camminata più semplice.

Siamo atterrati all’aeroporto di Haneda in tarda serata e, passata la prima notte a dormire sul freddo pavimento dell’info point del mercato del pesce di Tsukiji per poter assistere all’asta dei tonni delle 5:25, la stanchezza ed il sonno iniziano a montare in maniera prepotente.
Iniziamo a maledire ogni singolo passo che ci separa dall’hotel.
Le premesse erano differenti. Ueno è una zona molto conosciuta della città ed è semplice da raggiungere, grazie anche alla stazione ferroviaria e agli importanti punti di riferimento presenti nel quartiere (Ueno Park e lo zoo, il Museo Nazionale di Tokyo, il Museo dell’Arte Occidentale, e via discorrendo). È sicura, relativamente economica e ben collegata. Una buona base strategica per trascorrere qualche giorno dedicandosi alla scoperta della capitale, se si accetta l’idea di non trovarsi al centro della città.

Facciamo due passi al Parco di Ueno, mentre cerchiamo il capsule hotel 🌸🇯🇵

Qualche ora di giri a vuoto alla ricerca dell’hotel e, in uno slancio di problem solving, decidiamo di cambiare strategia ed affidarci alle immagini, avendo maturato la convinzione che la struttura debba esser nei dintorni.
Privi di connessione ad Internet, apriamo il .pdf con la prenotazione su Booking.com e ci mettiamo alla ricerca di una foto in miniatura che ritragga la facciata del palazzo, trovandola rapidamente.
Dopo tanto camminare, la buona notizia è che non siamo impazziti: l’hotel ha cambiato nome.
Ora si chiama Ueno Station Hostel Oriental III — molto meglio rispetto a Capsule and Sauna Oriental, che suonava un pochino più cheap, anche se il prezzo di questa scelta l’hanno pagato le nostre gambe.

Entriamo e, oltrepassato l’uscio, la perplessità regna sovrana: a pian terreno non c’è nulla. Vuoto, niente. Il pavimento e le pareti. Giusto un ascensore sulla destra. Smettiamo di porci domande, leggiamo — leggiamo… — delle scritte in giapponese e, infine, spingiamo un tasto a caso, affidandoci alla buona sorte.
Miracolosamente, dopo due o tre piani, le porte si aprono e ci troviamo a qualche metro dalla reception.
Dopo tre o quattro passi, il pavimento lucido cede il passo alla moquette e, al contempo, noi rischiamo la pena capitale: quella linea di demarcazione segna il punto in cui, con le scarpe, non si può più camminare.
Ignari e costernati, ci scusiamo nel migliore dei modi con il responsabile di turno, un signore bassino sulla cinquantina, che ci concede il suo perdono e ci mostra gli armadietti per le scarpe, ben ordinati in una stretta stanza laterale.
Veniamo guidati — rigorosamente scalzi — al desk.

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«Non si sale con le scarpe sulla moquette».
Io inizio a sentirmi un avanzo di galera.
«Quando si esce dall’ascensore, si tolgono le scarpe, che vanno nell’armadietto insieme agli oggetti di valore. Quando si esce dall’hotel, si prendono le scarpe, si oltrepassa la moquette e, solo a quel punto, si infilano».
Facciamo di sì con la testa, indossando l’espressione più convincente a nostra disposizione.
«Gli zaini e le valigie rimangono sul pavimento all’entrata».
«Sul pavimento all’entrata?».
«Sì».
«Ma nessuno tocca nulla?»
«No, e comunque c’è sempre qualcuno alla reception»
Smettiamo di domandarci come faccia il dipendente di turno al desk ad associare una faccia forse mai vista ad un bagaglio e ci affidiamo alla buona sorte, di nuovo.
Abbozzo un sorriso ed annuisco, tanto non mi sembra ci sia margine di trattativa e, soprattutto, non mi piace imporre le mie regole in casa altrui.
«Bene. Ora dovete spogliarvi».
Stiamo capendo sempre meno. Il signore ha un inglese stentato ed infarcito di “r”. Senz’altro abbiamo frainteso e, quindi, gli domandiamo con cortesia di ripetere.
«Non si gira nell’hotel con i vestiti».
Cerco invano con lo sguardo le telecamere nei dintorni, come conferma definitiva che si tratti di una candid camera.
«Mi scusi, ma dobbiamo girare nudi nell’hotel?», domando.
Il signore inizia a ridere a perdifiato. Ride così tanto da sentir la necessità impellente di chiamare una collega, in una stanza che riusciamo solo ad intravedere, per condividere con lei i nostri dubbi. La reazione di lei è identica, forse anche più contagiosa. Non capiamo, quindi ridiamo anche noi.
Il receptionist si ricompone, ci dà un sincero e divertito benvenuto nella struttura e, smarcate le pratiche iniziali per il check-in, infila un braccialetto color salmone in gomma con una chiave dell’armadietto personale ai nostri polsi sinistri, per poi affidarci alla collega.

La signora, apparentemente sulla sessantina ma senza un singolo capello bianco, ci chiede con un composto entusiasmo di seguirla. Per prima cosa, risolve il dubbio che ancora ci attanaglia: no, non dobbiamo girare nudi nell’albergo.
Tiriamo un sospiro di sollievo e, contestualmente, le sue mani si avvicinano ad un armadio privo di ante, dal quale estrae uno yukata color sabbia a testa.
Lo yukata è una sorta di kimono informale di cotone leggero, storicamente utilizzato dopo il bagno.
Possiamo cambiarci ogni volta che desideriamo, semplicemente mettendo lo yukata usato in un cesto e prendendone uno pulito dall’armadio.
Inizio a calarmi nel contesto nipponico. Ho iniziato a dedicarmi alle arti marziali all’età di dieci anni e sento qualsiasi cosa che abbia le sembianze di un karategi come una seconda pelle.
Nel mentre, si unisce a noi un viaggiatore francese sui trentacinque, capelli biondi lunghi fino alle scapole.
La signora dà il via al nostro tour guidato.

L’area relax, all’ultimo piano del capsule hotel, con l’immancabile distributore automatico 🛋

Al piano, lasciandoci alle spalle la reception, riconosciamo immediatamente una delle poche parole giapponesi presenti nel nostro vocabolario: onsen, la classica stazione termale giapponese, in questo caso aperta 24 ore su 24, ogni giorno.
Dalla parte opposta, sedie e specchi, asciugacapelli e lozioni di ogni genere.
Saliamo le scale e la nostra guida ci mostra i due piani, identici, dove si trovano le capsule, indicandoci le nostre, adiacenti. Ogni blocco è composto da due livelli di capsule, disposte le une sulle altre in file da sei unità.
I bagni in comune, puliti impeccabilmente, sono a qualche metro di distanza.
Procediamo verso l’ultimo piano del palazzo, dove troviamo un’ampia sala relax, piena di chaise longue e poltrone massaggianti. Immancabile, poi, un distributore automatico di cibo e bevande, onnipresente nel paese del sol levante.
Prima di lasciarci, la nostra guida ci ricorda che è necessario indossare lo yukata, quando si gira in hotel.

Facciamo un giro per Ueno, perdendoci tra i negozi della zona mentre siamo alla ricerca di un posto dove cenare.
Torniamo in hotel intorno alle 22 e, poco dopo, siamo pronti per entrare nelle rispettive capsule.
Individuo la mia, al livello superiore. Salgo sulla scaletta laterale, sposto la tendina — non ci sono porte né chiavi per entrare — e sono dentro.

L’interno della capsula, con TV e plancia sul lato destro 📻

La sensazione non è opprimente: il materasso è sottile, e riesco a star seduto a gambe incrociate senza sbatter la testa sul soffitto. C’è un deciso e piacevole odore di pulito ed il giallo tenue e un po’ datato delle pareti ha un effetto rilassante. Sulla destra, in alto, c’è una piccola TV. Più in basso, accanto a me, trovo una plancia in plastica fornita di telecomando, radiosveglia, prese elettriche e pulsanti vari, con delle esaustive quanto utili informazioni in giapponese.
Tempo di mettere il telefono in carica e sono pronto per dormire.

La prima notte, vestito rigorosamente in yukata, nella capsula 🇯🇵

Il risveglio mi lascia perplesso. Sento la tendina scorrere e mi sveglio immediatamente. Ai miei piedi, due signori giapponesi sorridenti e dallo sguardo gentile.
Ricambio il sorriso, senza farmi domande, e torno a dedicarmi al cuscino.
Passano pochi secondi e percepisco che, nuovamente, non sono solo, complici anche le domande in lingua locale postemi da quelli che ormai sembrano diventati i miei due coinquilini.
Mi sorridono, ricambio e continuo a guardarli, vagamente a disagio e senza dir nulla. Sento che potrei esser scritturato per il sequel di “Lost in translation”, in questo momento.
«Dani, è lo staff dell’albergo. Abbiamo sbagliato capsule».
«No Fabri, questa è la mia capsula, sono sicuro».
«Non è che abbiamo sbagliato capsula, abbiamo proprio sbagliato il piano. Dobbiamo salire le scale».
Provo a scusarmi. Abbraccio tristemente le lenzuola, il cuscino ed i miei effetti personali mentre esco dalla capsula, trascinandomi poi verso le scale, scortato dallo staff che cerca invano di farsi restituire la biancheria da letto, spiegandomi che avrei trovato tutto l’occorrente nella nuova — e corretta — sistemazione.
Non so che ore siano, ma sono pronto per dormire, finalmente.

Classificazione: 1 su 5.

NOTE PRATICHE PER IL VIAGGIATORE (aggiornato al 13 maggio 2020):

  • il nome attuale dell’hotel è Ueno Station Hostel Oriental III. Lo raccomando decisamente, tenendo in considerazione la pulizia, la gentilezza dello staff, i servizi offerti e la posizione.
  • il prezzo dell’hotel per notte è di circa 20 € ed include l’accesso 24/7 all’onsen e tutti i prodotti da bagno.
  • questo capsule hotel, attualmente, è segnalato come “Men only”.
  • la distanza dal principale punto di riferimento della zona, Ueno Park, è di circa 700 metri.

13 Comments on “Dormire in un capsule hotel a Tokyo. Lost in translation, capitolo secondo”

    • Le cicale, è vero!!! Mi è appena venuto un flash della mezza giornata spesa ai giardini del Palazzo Imperiale. Cicale OVUNQUE 😂
      Con i giardinieri che giravano freneticamente per tutto il parco, raccogliendo da terra ogni insetto passato a miglior vita 😂😂😂

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  1. Caspita! Riuscire a dormire lí dentro credo sia una sfida. Ma poi scusa, ma non si sentivano gli altri vicini? E se qualcuno russasse cosa farebbero gli altri? 🤔

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    • È comodissimo, in realtà! Le capsule non sono insonorizzate, unica cosa, quindi si sente ogni rumore dalle capsule più vicine.
      I miei vicini respiravano perfettamente, mettiamola così 😂
      A breve, pubblicherò un articolo dedicato proprio alle domande più frequenti che mi vengono poste sui capsule hotel. Aggiungine quante ne vuoi, senza problemi 😉

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  2. Pingback: Dormire in un capsule hotel. Perché sì e perché no | Viaggio Scomodo

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